Intervista a Chiara Ciardiello, naturalista soccavese impegnata da qualche anno in un progetto a favore di un uccello la cui specie rischia seriamente l’estinzione
di Tommy Totaro
È napoletana – di Soccavo, per la precisione -, ma si può, senza alcun dubbio, considerare “cittadina del mondo”, grazie al suo lavoro che la porta spesso negli angoli più reconditi del globo, per salvaguardare specie in difficoltà. Parliamo della naturalista Chiara Ciardiello, laureata in Scienze e tecnologie per la Natura e l’ambiente all’Università Federico II, da qualche anno impegnata per una buona causa a Fatu Hiva, nel sud dell’arcipelago delle isole Marchesi.
Chiara, dove sei attualmente?
In Nuova Zelanda per una formazione allo zoo di Auckland, partner del progetto che mi vede coinvolta in Polinesia Francese.
L’impegno in Polinesia, quindi, non si è concluso ancora?
No e probabilmente mi spegnerò, più o meno serenamente, prima che termini… I progetti di conservazione delle specie sono complessi: il sistema atto a proteggere la natura prevede diverse variabili e spesso serve anche un po’ di fortuna.
Perché ti trovavi lì?
In realtà, vivo e lavoro ancora a Fatu Hiva, dove mi occupo della salvaguardia del monarca, uccello che prende il nome dall’isola… è tra le specie più minacciate di estinzione al mondo. Ne esistono solo 19 individui in natura e, da febbraio, uno in cattività.
Così pochi?
Sì, principalmente, a causa dei ratti neri che, a partire dagli anni ‘90, sono approdati in barca grazie agli umani, trasportati insieme a materiale edile. Inoltre, l’assenza di veterinari sul posto e il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti ha provocato anche un aumento dei gatti, che non hanno predatori e si riproducono molto velocemente. I residenti, ignari delle conseguenze dovute alla dispersione dei gatti nelle foreste, nel tempo hanno cominciato a rilasciarli lontano dai due villaggi di quest’isola pressoché disabitata, se si considera che ci sono circa 600 abitanti distribuiti su una superficie di 85 chilometri quadrati.
Oltre a ratti e gatti, anche le zanzare non scherzano…
Esatto. Nel 2022, facendo delle analisi su un esemplare di monarca trovato a terra morto, abbiamo scoperto che c’è una malattia trasmessa dalle zanzare, che sta uccidendo i giovani di questa specie. Il che rende la partita ancora più difficile, soprattutto, considerando che siamo in una valle tropicale piena di questi insetti. La malattia in questione è la malaria aviaria, che ha già portato all’estinzione di alcune specie nelle Hawaii.
Com’è cambiato il tuo lavoro nel tempo a Fatu Hiva?
All’inizio, quando sono arrivata come volontaria nel 2021, mi occupavo del monitoraggio in montagna dei monarca. Partivo con il team alle 7 del mattino, poi, ci dividevamo e ognuno svolgeva la propria attività in solitaria camminando e cercando nell’unica valle protetta dell’isola i 16 (all’epoca) esemplari, anche quando pioveva. Si rientrava alle 15, 5 giorni a settimana. Monitoravamo, inoltre, le coppie per vedere se deponevano uova, quando, se il pulcino sopravviveva e come si disperdeva nella valle. Un lavoro molto faticoso e a volte frustrante, intenso, ma immerso nella natura e per me bellissimo.
Ed ora?
Da ottobre mi occupo della cattività, nel senso che localmente sono l’addetta al prelievo dei pulcini e all’allevamento a mano dei giovani pulli… quelli che in futuro formeranno coppie che, si spera, possano assicurare la sopravvivenza di questa specie in natura.
Quando è iniziata la tua avventura polinesiana?
Sono arrivata a Fatu Hiva durante il periodo “caldo” del Covid. Ho sempre sognato di lavorare con gli uccelli e di occuparmi di conservazione, ma prima di scoprire l’esistenza di questo progetto del Corpo Europeo di Solidarietà, non avrei mai pensato di poterci riuscire. Sfortunatamente, questo è un settore in cui non si investe e che vive principalmente di volontariato, quindi, mi ritengo davvero fortunata ad aver avuto questa bella opportunità, che però ha il suo “prezzo”. Come tutto, d’altronde…
In che senso?
Beh, vivere in un posto così isolato dal mondo, con 600 persone che non hanno la tua stessa cultura, occupandoti di piccole vite preziosissime in termini di biodiversità e, quindi, essere spesso soggetta a forte stress, senza il conforto di amici e parenti vicini, posso assicurarvi che è un prezzo molto alto. Certo, è tutto molto affascinante e intenso, ma anche difficile. Mi ostino a puntare il dito verso le difficoltà perché nella visione comune, questo genere di lavoro, ovvero cercare di salvare specie, viene visto spesso con ammirazione – quasi, come se fosse la vocazione di qualche fanatico che dedica la propria esistenza a una causa perché, magari, è mezzo pazzo – e non viene considerato come un lavoro vero e proprio. Cosa che, invece, è… A tutti gli effetti.
Da quante persone è composto il tuo gruppo di lavoro?
All’inizio eravamo in 8, mentre tra poco saremo in 14, compresi i volontari. Tra questi, figura anche un giovane e promettente veterinario italiano, Davide Ceccarelli.
Ci descriveresti in breve una tua giornata tipo sull’isola?
Quando ho un pullo da allevare, mi sveglio alle 5.30 e raggiungo il laboratorio allestito in un container, esattamente a 10 metri da quello in cui vivo io, per pesarlo e prendergli alcune misure. Alle 6 comincio ad alimentarlo e ogni 30 minuti procedo con l’aiuto di un volontario o di uno zookeeper. Questo, fino alle 21. Dopodiché vado a cacciare grilli e cavallette per il giorno dopo. Quando, invece, non ho pulcini, mi occupo degli uccelli in voliera o torno ad aiutare il team in montagna con il monitoraggio, che è sempre la cosa che amo di più. Vado a dormire sempre, non più tardi delle 22.
Sei, dunque, molto legata a Fatu Hiva e a questo progetto?
Sì. Al termine del mio volontariato chiesi di lavorare ancora un po’ qui e il direttore dell’associazione (Sop Manu) accettò. Tornata a casa a Napoli, ebbi subito la sensazione che, per me, questa esperienza potesse avere un seguito. E, poi, una leggenda popolare ci ha messo lo zampino…
Ovvero?
Secondo una leggenda del luogo, se quando prendi la barca per lasciare l’isola lanci una delle tiare (fiore tipico polineasiano) che compongono la collana che ti viene offerta prima della partenza, il destino ti riporterà a Fatu Hiva. Io sono una ragazza di scienze e per un po’ le ho pure insegnate, ma per la serie: non è vero ma ci credo, quel fiore l’ho lanciato e dopo 5 mesi il direttore dell’associazione mi ha richiamata per tornare sull’isola, questa volta come lavoratrice e non più come volontaria.