Il giovane regista e sceneggiatore, premiato in laguna durante la 77esima edizione della Mostra d’Arte cinematografica, si racconta a Soccavo Magazine

di Tommy Totaro

 

 

È stato il suggestivo film “Le mosche”, a consentire al soccavese Edgardo Pistone di conquistare il premio come miglior regista di cortometraggi durante la 77esima edizione della Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, nella sezione SIC – Short Italian Cinema. Pistone, originario del Rione Traiano, è anche sceneggiatore del progetto che gli è valso l’ambito riconoscimento, consegnato in occasione della Settimana internazionale della critica.

Ecco cosa ha raccontato a Soccavo magazine.

 

Edgardo, partiamo da Venezia… Che effetto fa partecipare e, oltretutto, portarsi a casa un premio prestigioso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica?

Un’enorme soddisfazione! I riconoscimenti aiutano a credere che sei sulla strada giusta e che non te la stai cantando e suonando da solo. Ho ricevuto molto affetto anche da tanti sconosciuti che continuano ad incoraggiarmi. Penso dipenda dal fatto che hanno intuito l’onestà del racconto, al di là di ogni stereotipo.

 

In laguna hai conquistato tutti grazie al corto “Le Mosche”. Di cosa parla?

Di adolescenza, un’adolescenza innocente, incosciente e goffa. Molto bella, ma anche pericolosissima. Il racconto è breve, temo di dire troppo.

 

In realtà, si tratta di un progetto ben articolato, che parte da laboratori che vedono coinvolti adolescenti partenopei. Giusto?

Esatto, ho avuto la fortuna di incontrare adolescenti di grande talento e ci siamo divertiti molto. Loro più di me… senza prendersi troppo sul serio, ma con grande impegno. La condizione ideale per fare qualsiasi cosa.

 

A parte goderti la soddisfazione per il più che meritato riconoscimento, a cosa stai lavorando in questo periodo? C’è già qualcosa in cantiere?

Sì, tante cose, ma preferisco non parlarne troppo. Però sto lavorando.

 

 

Quanto il tuo quartiere di origine ha influenzato, se lo ha fatto, la tua passione/lavoro?

In tutti i miei racconti per il cinema entrano tutti i personaggi che osservavo da bambino e che tutt’ora mi stupiscono. Vivo ancora qui e le mie storie e i miei personaggi nascono qui.

Il contesto, oltre ad attirarmi sempre molto, mi ha spinto verso questa strada faticosa del cinema… Sicuramente, la mancanza di offerte di altro tipo e di prospettive lavorative aiutano ad essere più coraggiosi nelle scelte. Ad un uomo zoppo non resta che volare.

 

La tua provenienza è mai stata un ostacolo? Hai subito qualche pregiudizio?

In maniera diretta no! Forse perché ho un aspetto minaccioso e uno sguardo sempre accigliato, oltre a un accento marcato. Poi non ci faccio tanto caso. Non sono problemi miei ma loro.

 

 

Come e quando è nato in te l’amore per la Settima Arte?

Non me lo ricordo, non ho incontri romantici e folgoranti da raccontare. Però ci sono due momenti: uno è legato a mio padre, prima di iniziare il suo nuovo lavoro faceva l’operatore prima televisivo, poi iniziò a fare cerimonie e quando tornava a casa (era molto piccola), mio padre lasciava questa telecamera grandissima in cucina, dove dormivamo io e miei fratelli… ai piedi del letto. Penso che qualche cosa l’abbia smossa. A scuola, invece, all’istituto d’arte c’era un professore, un grande Maestro e un grande uomo, che faceva vedere dei capolavori del cinema. Tra questi, il primo che ricordo è “Il cielo sopra Berlino” di Wenders. Quando non mi andava di fare chimica o matematica andavo a trovarlo e guardavo i film che proiettava durante le sue ore. Poi mi chiamo Edgardo… questo può essere un altro motivo, ma non lo so. E ancora dovremmo parlare del fatto che sono pigro, vanesio, altezzoso, che voglio sentirmi amato, ma queste sono derive psicanalitiche che non interessano a nessuno.

 

Che consiglio daresti ai ragazzi del Rione Traiano che, magari, sognano come te un futuro nel mondo del cinema?

Il cinema è una grande opportunità di studio. Senza la curiosità e lo studio, questo lavoro è impossibile. La curiosità è la benzina.

 

Se ne avessi il potere, cosa cambieresti nel quartiere e, soprattutto, cosa faresti per i più giovani?

Una sala cinema per evadere. Mi piacerebbe vedere più iniziative, ma non capisco perché in altri luoghi, comprese le periferie napoletane, queste iniziative ci sono e qui no. Non riesco a capirlo.

 

Tre aggettivi per definire Soccavo?

Malinconica, abbandonata e triste. (la tristezza, quella bella però)

 

Hai un luogo del cuore qui in zona?

Le panchine su viale Traiano, panchine di ferro gelido che erano luogo di chiacchierate e nottate con i miei amici d’infanzia, che sono ancora oggi i miei più grandi amici. Probabilmente senza quelle non avrei avuto il gusto di ascoltare e sentire storie.

 

Che augurio faresti a te stesso per il futuro… più o meno prossimo?

Sono scaramantico, la prossima domanda?

 

 

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