di Tommy Totaro

 

Aniello Cutolo tra qualche mese compirà 40 anni. Ha iniziato a giocare a calcio giovanissimo e di questo mondo fatato e difficile non è ancora stanco. I suoi inizia sono nella scuola calcio U.S. Nuovo Soccavo di Napoli. Grande amico di Antonio Floro Flores, con lui ha fatto tutta la trafila nelle giovanili del Napoli e, successivamente nelle giovanili del Benevento, con cui ha debuttato fra i professionisti a diciotto anni in Serie C1.

Dopo alcuni passaggi tra Giugliano, Benevento e Lodigiani, nel 2005 viene acquistato dall’Arezzo in Serie B. Dopo ci saranno le squadre del Verona, Taranto, Perugia, Padova, Pescara, Livorno, Entella, Juve Stabia ed Arezzo.

Si è parlato molto di lui per l’episodio del 16 settembre 2011, quando segna il suo primo gol in campionato contro la sua ex squadra, ossia il Verona. Nell’occasione si lascia andare a un’esultanza provocatoria, dopo che il pubblico del Bentegodi lo aveva fischiato per tutta la partita e il motivo è da ricercare nell’errore commesso nel 2007 da Cutolo, che costò al Verona la retrocessione nell’allora Serie C1.

 

A che età ha cominciato a giocare a calcio?

Da bambino, intorno ai 10 anni alla Scuola calcio. Prima giocavo per le strade del mio quartiere, con i miei amici. Naturalmente, il periodo più bello della mia vita. Ero spensierato e ricevevo le approvazioni sincere del mio gruppo tutte le volte che segnavo e, se il goal non c’era, pazienza. Si andava tutti insieme a mangiare un gelato in allegria.

 

Il passaggio a professionista quando è avvenuto?

Ho debuttato con il Benevento in C1, nell’anno 2001. Avevo 17 anni, l’età giusta per essere consapevole dei sacrifici che avrei dovuto fare da quel momento in poi.

 

Quali differenze vede tra il modo di giocare a calcio di oggi e di ieri?

Oggi è completamente diverso da quando iniziai a giocare io. Oggi ci sono tanti strumenti, informazioni, metodologie. C’è più tatticismo. Prima il calcio era più spontaneo e muscoloso.

 

Quale dei due modi preferisce?

Quello di prima, senza dubbio, ma è giusto che anche il calcio vada avanti, che le cose cambino. L’evoluzione è parte integrante delle nostre vite e delle attività che svolgiamo e il calcio rientra tra queste.

 

È nato in questo quartiere, al Rione Traiano, per la precisione. Come ricorda la sua gioventù?

Nei miei ricordi più belli ci sono i luoghi del quartiere dove giocavo con gli amici. Giocavamo per intere giornate nel campetto della parrocchia e non eravamo mai stanchi.

 

Oggi si muove in modo diverso pur rimanendo nel mondo del calcio, le mancano i 90 minuti in campo?

Il passaggio da calciatore a qualcos’altro non è mai facile ma ho avuto la possibilità di poter iniziare subito a lavorare nel mondo del calcio con l’Arezzo, dove ho terminato la carriera da giocatore. E mi piace molto. Vede il calcio è uno di quegli sport nei quali si “gioca” dentro e fuori del campo. Ho imparato oggi a stare fuori dalle linee bianche e, comunque, è una parte che non mi sta stretta. Sono nell’età giusta per farlo.

 

Ci parli del suo impegno per i giovani del quartiere. Oltre al famoso episodio del 16 settembre 2011, ce n’è qualcun altro che le è rimasto impresso?

Per quanto riguarda i giovani del mio quartiere, spero che si possa ripartire dall’ultima iniziativa svolta proprio nel campetto della parrocchia. Tengo molto ai giovani e amo il mio quartiere, quindi farei di tutto per i giovani di Soccavo e del Rione Traiano, dove sono nato. Il calcio è lo sport di maggior aggregazione e spero che in futuro, insieme a vecchi colleghi, si possano creare nuove iniziative. L’episodio del 16 settembre mi ricorda una partita bella. Anche se non mi aspettavo quel tipo di accoglienza, resta la soddisfazione personale di aver segnato in un bel derby.

 

Quali sono i suoi impegni nell’immediato futuro?

Ho iniziato questo percorso da dirigente sportivo e a breve farò il corso da Direttore a Coverciano. Poi vedremo il futuro cosa mi riserverà. Spero di continuare il mio impegno nel mondo del calcio che, si sarà capito, amo tantissimo.

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