di Tommy Totaro

Genuinità, eccellenza ed affabilità sono le sue parole d’ordine. Non a caso, la sua attività pullula costantemente di clienti in cerca di prodotti buoni e sani. Stiamo parlando di  Giuseppe Piacente, titolare di “Piacente Frutta” (via dell’Epomeo  434), una vera e propria istituzione qui a Soccavo, al quale abbiamo deciso di porre alcune domande per cercare di conoscere meglio il suo “mondo” fatto di autenticità e freschezza.

 

Giuseppe, quanti anni fa ha inaugurato la sua attività?

Ho aperto nel 1998.

Si è mai pentito della scelta?

A volte arrivano momenti difficili, che ti spingono a pensare… anche perché i sacrifici sono davvero tantissimi. Ma poi l’affetto della gente ti fa dimenticare tutti gli sforzi.

Se non avesse fatto il fruttivendolo, che lavoro avrebbe voluto fare?

Il rappresentante di qualche buon prodotto italiano, così da proporre sempre merce di qualità del nostro Paese.

Da dove provengono i prodotti che vende?

Da varie regioni italiane: Sicilia, Calabria, Puglia, Trentino e, soprattutto, dalla nostra Campania, cercando di stare attenti ai prodotti che arrivano da zone inquinate. La selezione varia a seconda dei periodi e da chi offre la qualità migliore. In estate lavoriamo principalmente con prodotti campani, scegliendo tra le migliori aziende che abbiamo a disposizione nel nostro territorio. Realtà, che lavorano in un certo modo, di cui conosciamo i titolari da anni.

Natale e Capodanno sono alle porte. Cosa si vende di più durante le feste?

Nel periodo natalizio, oltre alla frutta di stagione, come clementine, arance e mele di varietà diverse, si vendono molti cavoli, broccoli a foglie o di Natale, scarole ricce e minestra.

Stando costantemente a contatto con il pubblico, sicuramente avrà una marea di aneddoti da raccontare. Qual è la richiesta più strana o divertente che le hanno fatto finora?

Tra le richieste più divertenti c’è quella delle golden lady (calze) volendo riferirsi, invece, alle mele golden, ma l’aneddoto più bello risale a molti anni fa quando una cliente in cerca di spighe ci chiese delle “pannocchie” e mio zio, che in quel periodo mi stava aiutando, mi guardò sconcertato dicendo: “Ma che vvo’ chest?”.

 

 

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